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È sulla bocca di tutti, anche dei non addetti ai lavori. Di overtourism sentiamo ormai parlare quasi ogni giorno, soprattutto nelle stagioni più intense a livello turistico come l’estate e le vacanze di Natale. E non deve stupire: il fenomeno dell’overtourism in Italia interessa direttamente o indirettamente tutti noi, sia da viaggiatori che da operatori del settore.
Se fino a pochi anni fa l’aumento degli arrivi rappresentava il primo obiettivo per lo sviluppo turistico di un territorio (e il più allettante), oggi gli svantaggi di un turismo “intensivo” sono sempre più evidenti.
Ma come è nato l’overtourism, e soprattutto quali strategie esistono per arginare le problematiche che porta con sé? E ancora, cosa può fare il settore dell’ospitalità per favorire lo sviluppo di un turismo più sostenibile?
Si tratta di un termine apparso attorno agli anni ‘80 del Novecento (sull’origine esatta non c’è certezza), e divenuto poi popolare dapprima nel 2016 con un celebre articolo apparso su Skift, e poi nel 2018, anno in cui l’Oxford Dictionary l’ha inserito nell’elenco delle parole dell’anno.
Benché non se ne conosca con esattezza l’origine, tutti concordano sul suo significato: parafrasando la definizione dell’UNWTO, per overtourism si intende infatti l’impatto del turismo su una destinazione o parte di essa, che influenza in maniera negativa la qualità della vita percepita dai cittadini e/o l’esperienza dei visitatori.
La caratteristica principale dell’overtourism è dunque la sua insostenibilità nei confronti del territorio su cui ricade, in cui provoca più danni che benefici. Si tratta dunque di un concetto più complesso rispetto al turismo di massa, che ruota principalmente attorno al carico di visitatori in una determinata destinazione (seppur con un’accezione spesso negativa), piuttosto che sugli effetti collaterali da esso generati.
Inoltre, la definizione dell’UNWTO mette l’accento su un altro aspetto cruciale dell’overtourism, ovvero le ricadute sulle comunità locali. Gli abitanti del luogo sono i primi a subire le conseguenze di una forma di turismo eccessivo, e ciò si ripercuote sulla loro qualità della vita. Alcuni esempi sono la difficoltà di trovare alloggi in affitto, l’aumento generale dei prezzi, la diminuzione dei servizi e l’impatto sull’ambiente.
Diamo qualche numero. Come tutti sappiamo, la pandemia da Covid-19 ha segnato una brusca battuta d’arresto per il turismo internazionale, che tuttavia non sta tardando a riprendersi. Per il 2023 l’UNWTO ha stimato infatti un totale di 1.3 miliardi di arrivi a livello globale, pari all’88% del periodo pre-pandemia.
E in Italia? Il nostro paese è in prima linea quando si parla di overtourism. I tre quarti del turismo nello stivale (75%) si concentra infatti in una minuscola porzione di territorio, pari al 4% della superficie nazionale (rapporto Thea Group su dati Istat). Venezia è uno dei casi più eclatanti in tal senso, con il 12% dei turisti che si affollano in un lembo di terra corrispondente allo 0,1% della superficie totale.
Se queste percentuali non dovessero bastare, ci pensa il rapporto annuale McKinsey & Company a completare il quadro. Dall’analisi “The state of tourism and hospitality 2024” sulle città più colpite dall’overtourism nel mondo (basata sul parametro numero di notti trascorse per km²) emerge che Venezia è al secondo posto dopo Dubrovnik, in Croazia, e prima di Macao, mentre al 13° posto della graduatoria spunta un’altra città italiana, Roma.
Al di là dei numeri, chiunque abbia visitato Roma, Firenze o Milano (solo per citarne alcune) in un qualsiasi weekend dell’anno si è certamente reso/a conto dell’affollamento di cui parliamo, che rende faticosa qualsiasi attività e spostamento. Il quadro che si presenta è quello di un paese da un lato congestionato in poche mete iper-conosciute, dall’altro costellato di località ignorate dai turisti.
Nonostante il fenomeno venga osteggiato da tempo, il 2024 è stato l’anno in cui la protesta delle comunità locali contro l’overtourism ha raggiunto nuovi apici in Europa. In Spagna, in particolare, i cittadini sono scesi in piazza per dire basta al turismo invasivo e chiedere a gran voce nuove politiche per arginare il fenomeno.
Una delle principali critiche mosse dai manifestanti è proprio rivolta agli amministratori locali e ai governi stessi che, mossi da interessi economici, nel corso degli anni hanno lasciato crescere il turismo in maniera incontrollata, senza applicare politiche mirate.
Di fatto, però, alcuni paesi e città in passato hanno tentato di attuare strategie per gestire i flussi turistici: dalla chiusura totale di Maya Bay nelle Phi Phi Islands, devastata dal turismo di massa dopo esser salita alle luci della ribalta con il film The Beach del 2000, all’analisi dei dati digitali per deviare i flussi e decongestionare la città messa in pratica da Amsterdam, che oggi sta anche vietando la costruzione di nuovi alberghi in centro. C’è poi il caso di Copenhagen e il suo progetto CopenPay, che con un cambio di prospettiva ha deciso di premiare le azioni sostenibili dei visitatori per incoraggiare un turismo più rispettoso dell’ambiente e della comunità.
Nel nostro paese le strade che si sono prese per controllare l’overtourism sono essenzialmente due. Da un lato c’è il tentativo di regolamentare gli affitti brevi, in sostanza gli appartamenti pubblicati su piattaforme come AirBnB e Booking.com, che negli ultimi anni sono aumentati esponenzialmente in molte città italiane, abbassando al contempo la disponibilità di alloggi per i residenti, che si trovano spesso di fronte a canoni esorbitanti. Venezia è stata la prima città a muoversi in tal senso, proponendo agli host di aderire a norme di comportamento virtuose per poter affittare senza limitazioni; Firenze l’ha seguita a ruota con un vero e proprio stop agli affitti brevi nel centro storico Unesco, cui seguirà anche la limitazione all’apertura di nuovi negozi e ristoranti.
La seconda strada è quella del cosiddetto “gated tourism”, una strategia che pone dei limiti all’accesso ad una destinazione turistica o a un luogo specifico, oppure lo restringe in un determinato periodo dell’anno. L’abbiamo visto ad esempio con il ticket di accesso a Venezia, un contributo in denaro che viene richiesto a chi visita la città in alcune date specifiche dell’anno, senza pernottare. A Pompei invece è stato recentemente introdotto un limite giornaliero di 20.000 visitatori, necessario per preservare il suo straordinario patrimonio archeologico.
Una volta approfondito il fenomeno dell’overtourism in Italia e le strategie che si stanno adottando per contrastarlo, passiamo ora alle azioni che le strutture ricettive possono attuare per favorire un tipo di turismo più sostenibile. Che tu gestisca un hotel o un appartamento ad uso turistico in una località gettonata o poco conosciuta, puoi infatti contribuire a costruire una destinazione più accogliente sia per i turisti che per i residenti.
Vediamo come:
Se la tua struttura si trova in una destinazione molto amata e frequentata dai viaggiatori, non limitarti a consigliare i tour e i punti di interesse principali. Nella tua città esistono sicuramente quartieri meno conosciuti ma degni di essere visitati (magari con un tour della street art, o una visita a un’area naturale), e lo stesso vale per i dintorni, che probabilmente ospitano un borgo o un museo tipico.
Se invece la tua struttura si trova in una località non interessata dal turismo di massa perché poco nota o isolata, ti consigliamo di fare dell’undertourism il tuo punto di forza: segnala su tutti i tuoi canali i vantaggi di soggiornare lontani dal caos delle mete più turistiche, e trasforma la tua struttura nella vera destinazione di un viaggio all’insegna della sostenibilità.
I tuoi ospiti soggiornano soprattutto nel weekend o durante i periodi di alta stagione? Prova ad attrarre viaggiatori meno “mordi e fuggi” e più sensibili al tema dell’overtourism attraverso offerte speciali e pacchetti vantaggiosi durante le stagioni e le giornate più scariche. Stimolerai così anche maggiori ricadute economiche sul territorio in periodi meno affollati, oltre a favorire un’esplorazione più capillare della destinazione.
La comunità locale non fa da sfondo all’offerta turistica di una destinazione, ma ne è la vera protagonista. Fai in modo che i tuoi ospiti la rispettino, spiegando loro le abitudini del luogo ed “educandoli” al rispetto di regole basilari come gli orari del silenzio o l’uso degli spazi comuni. Se possibile, partecipa anche a progetti che abbiano ricadute positive sulla comunità, impiegando ad esempio persone con disabilità o pubblicando il tuo annuncio su piattaforme che donano parte delle commissioni a progetti locali, come FairBnB.
Nel caso in cui tu stia aprendo una nuova struttura, potresti optare per una location meno congestionata a livello turistico – ad esempio un quartiere un po’ decentrato o una cittadina a pochi chilometri da una meta gettonata – e costruire la tua strategia di marketing proprio attorno alla tua posizione. Molti viaggiatori sono ormai attratti da strutture situate in zone più tranquille e silenziose della città, che garantiscono un soggiorno più rilassato. Le tue recensioni ne gioveranno sicuramente!
Maria Grazia è una Content e Social Media Manager freelance che dal 2012 scrive di turismo e ospitalità con un occhio di riguardo per la SEO. Appassionata di cinema e letteratura, nel tempo libero ama organizzare i suoi prossimi viaggi, specialmente se sostenibili.
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